PNRR. I limiti di un piano
di Adriano Paolella
Premessa
Il PNNR contribuirà in maniera significativa a comporre il nostro futuro. Potrebbe migliorare le condizioni di vita, peggiorarle o lasciarle identiche. Sicuramente con esso qualcuno si arricchirà oltre misura.
Sarebbe bene esercitare sulla sua attuazione quel controllo sociale che è mancato nella fase della sua predisposizione.
L’impostazione verticistica e tecnologica
Il Piano è stato definito tra ministri, alti funzionari dei ministeri, interlocutori privilegiati.
E’ costituito da investimenti in tecnologiche, infrastrutture, strutture, ipotizzando che essi, unite all’”ammodernamento” delle procedure, sostengano l’implementazione e l’avvio di attività produttive.
L’impostazione culturale
Il Piano ignora la cultura ambientalista basata principalmente sul perseguimento della riduzione e la pratica del riuso (due delle 3R) e sostiene quella industriale basata sulle azioni che permettono l’ampliamento dei mercati: innovazione delle merci, efficienza energetica, riciclo (l’ultima delle 3R).
Il criterio dell’affiancamento
Non attua alcuna sostituzione di oggetto e di metodo, non praticando scelte ma assumendo il criterio dell’affiancamento: non limita la circolazione stradale privata ma finanzia le piste ciclabili, non limita l’uso di merci inquinanti ma finanzia gli smaltimenti, non chiude le centrali fossili ma promuove le rinnovabili, etc. Sostiene così le imprese che producono macchine, energia, tecnologia, che trattano rifiuti, che costruiscono, etc. ritenendole il motore dell’economia e della società.
Ipotizza che le imprese così sostenute possano consolidarsi e portare benefici diffusi ma non valuta quanti dei finanziamenti creeranno solo profitti e quanti saranno ridistribuiti alle comunità in termini di lavoro, di servizi, di sostegno (e il recente aumento dei prezzi nel settore edile che ha anche trainato l’inflazione è un esempio di come rimanendo fisso il costo di personale si possa accumulare ingenti profitti, senza aumentare né quantità né qualità di prodotto).
Il criterio dell’adattamento e dell’efficienza
Il PNRR opera seguendo l’obiettivo di adattare le produzione alle nuove merci rese necessarie dal cambiamento sociale e ambientale e di aumentare l’efficienza della produzione (in termini energetici), della distribuzione (logistica) e della commercializzazione (infrastrutture).
Così facendo persegue l’aumento delle produzione (orientandole parzialmente verso la sostenibilità) rischiando di fare funzionare meglio un modello produttivo, distributivo commerciale incapace di affrontare i problemi contemporanei e che per propria natura porta vantaggi ridotti alle comunità e all’ambiente rispetto ad altri modelli.
Il criterio del cambiamento e della riduzione
Si dovrebbe al contrario cambiare modello insediativo e produttivo sostenendo le attività e le persone che vanno nella direzione del cambiamento dei comportamenti, della riduzione delle merci, della equa distribuzione, dell’eliminazione degli sprechi tutte queste caratteristiche proprie ed ineliminabili del modello economico e produttivo contemporaneo. Non tentare alcun azione di cambiamento di un modello offensivo che sostiene il lusso, lo spreco, l’inutilità, l’iniquità appare una scelta politica miope e modestamente efficace. I ricchi saranno più ricchi, i benestanti ridurranno o aumenteranno un poco il loro benessere, alcuni lavoratori lavoreranno per qualche anno, i poveri aumenteranno di numero e per fare questo consumeremo risorse, territorio, ambiente, paesaggio, aumenteremo le emissioni, contribuiremo al cambiamento climatico.
Le scelte nello specifico: un esempio
L’impostazione data si rilegge nelle azioni individuate. A titolo esemplificativo se ne approfondiscono alcune voci.
Ad esempio nel quadro della “Missione 2: rivoluzione verde e transizione ecologica” nel capitolo “M2C1 Agricoltura sostenibile” molto è volto alla logistica, alla meccanizzazione ma nulla alla riduzione dei profitti indiscriminati che avvengono nella filiera di commercializzazione del prodotto A maggio 2021 un chilo di ciliegie in Puglia veniva pagato all’agricoltore 0,60-0,80 € e venduto a Milano a 16 €; nella differenza tra le due cifre c’è il lavoro nero, la non integrazione degli immigrati, lo sfruttamento del lavoro, la produzione in quantità e non in qualità (e quindi fitofarmaci, concimi, etc.), gli insediamenti abusivi e i costi sociali, il controllo dei mercati da parte di organizzazioni malavitose e gli indiscriminati profitti.
Così quando “con la strategia “Dal produttore al consumatore”, la componente si prefigge l’obiettivo di una filiera agroalimentare sostenibile … rafforzando le infrastrutture logistiche del settore, riducendo le emissioni di gas serra e sostenendo la diffusione dell’agricoltura di precisione e l’ammodernamento dei macchinari” sembra che i caratteri ambientali e sociali propri del settore primario siano fattori secondari.
“Per aumentare produttività e qualità” non si parla di controllo dei prezzi, di sostegno agli operatori corretti, di agricoltura biologica, di vicinanza tra aree produttive e abitanti, di autoproduzione e orti, ma solo di nuove tecnologie Nessun altro ragionamento di qualità di prodotto e di contesto (il paesaggio agricolo), né di adattamento delle colture ai sistemi naturali (modalità di ridurre impatto delle coltivazioni, meno acqua, meno concimi, meno anticrittogamici).