Azioni di pace
di Adriano Paolella
L’occupazione della Ucraina ha fatto riemergere (ed è questo un altro capo di accusa all’invasore) quella logica delle nazioni che ha permesso ai Francesi di bombardare Roma nel 1849, agli Italiani di occupare la Francia nel 1940 ed ad ambedue di essere oggi fraterni cugini, la stessa che in 32 anni, dal 1914 al 1946, ha permesso a Italia e Germania di essere, nel corso di due guerre, amici, nemici, amici, nemici, amici odiandosi e amandosi in uno sconfinato massacro di persone.
La stessa logica che usa le “guerre dei popoli” per nascondere interessi militari, economici, territoriali, per porre in secondo piano le richieste sociali e ambientali, per liberalizzare il disonore, l’obbrobrio, l’ignominia.
E’ difficile sopportare un’aggressione e la morte, le sofferenze, lo stordimento da essa scaturite; ma se vogliamo la pace bisogna uscire dalle logiche della guerra, dei buoni e dei cattivi, di “lui ha fatto quello” e io sono “costretto a fare quest’altro”, perché non vi sono nazioni buone e cattive ma uomini che si comportano bene e male in ogni paese.
Bisogna impegnarsi per uscire dall’onda emozionale (strumento ancora ben valido per sostenere la guerra) e riprendere le logiche della pace, le uniche che possano migliorare le condizioni umane.
Troppe concessioni si stanno facendo alle logiche della guerra. Parte significativa della comunicazione fa propaganda, fornendo informazioni non complete o errate, riducendo a spettacolo le sofferenze, mantenendo alti l’emozione e lo sdegno e al contempo diffondendo rabbia e paura. Gran parte dei partiti sostengono un’Europa “forte” e “pacifica” attraverso l’aumento delle spese militari, l’invio di armi, il cambiamento delle modalità di formazione dei soldati (addestramento al combattimento) scegliendo in tal modo una risposta militare che nulla ha a che fare con la pace.
Le azioni non dovrebbero essere parossistiche (come il ritiro giornalisti dalla Russia, quando dovrebbero essere incrementati per fornire informazioni sui movimenti di opposizione, come l’eliminazione dei corsi su Dovstoevskij all’Università o la minacciata sospensione della diplomazia nel caso si aumento di tensione) ed in particolare non dovrebbero essere solo e sempre delle “risposte” ma dovrebbero tracciare nuovi percorsi alla ricerca di soluzioni.
E’ indispensabile uscire dalla specularità delle azioni, non sdoganare la ricerca della supremazia, la violenza, la vendetta generatrice di morte e sofferenza e dannosa anche a chi è lontano dalle zone di guerra.
Il nostro obiettivo non è la Russia. Il nostro obiettivo è la rimozione di un governo russo che con l’occupazione della Ucraina ha fatto male agli Ucraini ma anche (in diversa forma ed entità) ai russi e a tutta la popolazione del pianeta ed è l’allontanamento di coloro i quali, ovunque essi siano, rappresentino con i loro comportamenti, conniventi con le medesime logiche, un rischio per la salute delle comunità.
Se non recuperiamo lucidità, se non usiamo linguaggi e comportamenti di pace, riprendendo la capacità politica e sociale di mediare, non possiamo aiutare nessuno ma essere solo parte di una tragedia già vista.
Le posizioni assunte dai paesi europei a seguito dell’occupazione Ucraina mostrano quanto non sia possibile dare per acquisita la cultura della pace e quanto in questi anni siano riemersi parole e atteggiamenti che si speravano perduti per sempre. Non tutti sono riusciti ad intendere per tempo che le spese militari mondiali, dopo anni di decrescita, sono in progressivo aumento, che i conflitti in Siria, Libia, Yemen, il fallito golpe turco, la vicenda afgana superano il foraggiamento di conflitti locali e palesano il rinvigorirsi di strategie globale mosse da interessi economici e militari internazionali.
Aver sottovalutato queste situazioni non aver messo sotto pressione i nostri distratti, succubi o interessati governi ha portato ad una normalizzazione dei conflitti e del tessuto produttivo e culturale che li sostiene.
Prima che la maturazione di questa cultura non lo permetta, bisogna di nuovo “armarsi” per la pace, segnalando gli atti incoerenti, opponendosi alle scelte errate e al contempo riducendo in anticipo il rischio di conflitti attraverso politiche estere tese, al di là degli schieramenti e delle alleanze internazionali, al benessere comune, il sostegno (non con le armi) di tutte le comunità in difficoltà dovunque siano, l’educazione all’ascolto e all’accoglienza, ma, soprattutto, l’eliminazione delle spese militari evitando così indebite pressioni sulle scelte e marginalizzando gli effetti sulla società di logiche belligeranti.