Uno dei vantaggi/svantaggi del mio curioso lavoro sono i lunghi viaggi in macchina che faccio con i colleghi e che abbiamo l’abitudine di trascorrere parlando. La regola non scritta è che, partendo da Roma molto presto per raggiungere i nostri amati piccoli paesi, fino alla prima sosta si parla del più e del meno, di cosa abbiamo fatto nel weekend, dell’ultimo film visto, delle passioni reciproche… dopo il caffè si può iniziare a parlare di lavoro. Ormai da anni per me l’autogrill di Fabro sancisce l’inizio dell’orario lavorativo.
È proprio in uno di questi momenti che si parlava di numeri e di quantità, o meglio, del perché siamo così dipendenti dall’andamento di questi. Il suggerimento ricevuto è stato quello di riflettere su quando, nella storia, le quantità hanno iniziato ad assumere maggiore importanza per noi, ovvero su quel momento in cui l’umanità è passata dall’essere raccoglitrice e cacciatrice, procurandosi solo ciò di cui aveva bisogno in quel momento, ad essere coltivatrice.
La cosiddetta rivoluzione neolitica, che ha anche determinato il passaggio dal nomadismo alla sedentarietà, ha significato la nascita dell’agricoltura e l’aumento della popolazione. Grazie alla conoscenza delle tecniche di coltivazione, dell’irrigazione e della deforestazione, si è iniziato a produrre di più dello stretto necessario, quindi ad accumulare una parte, inizialmente per la semina e la scorta, migliaia di anni dopo per la vendita.
Si potrebbe quindi affermare, senza entrare nel merito dell’evoluzione umana, che prima della rivoluzione agricola l’uomo agisse fortemente connesso al suo presente, viveva giorno per giorno procurandosi solo ciò di cui aveva bisogno nell’immediato, non preoccupandosi né di ieri, né di domani.
Stoccare, immagazzinare, distribuire, trasportare, sono, al contrario, attività che necessitano di pianificazione, rivolte al futuro. Il futuro però non lo conosciamo e, per quanto tentiamo di programmarlo, aimè, è sempre una sorpresa. Questo genera ansia e preoccupazioni sulla possibilità, molto più che reale, che le nostre previsioni non coincidano con quanto si verificherà.
Chiunque abbia avuto esperienza di sedute di psicoanalisi è portato a riflettere su cosa comporti essere rivolti al passato, guardare al futuro o stare nel presente. Solitamente i terapeuti spingono verso quest’ultima, sostenendo che la dimensione dell’ora è l’unica sulla quale possiamo intervenire, mentre sulle altre non abbiamo alcun potere.
Saper stare nel ‘qui ed ora’[1] è ciò che ci fa apprezzare quello che abbiamo, vivere più serenamente e con meno ansie, affrontare le difficoltà che ci si pongono davanti utilizzando al meglio gli strumenti che ognuno di noi possiede: risolvere una questione lavorativa, affrontare un discorso delicato con un amico, accettare i comportamenti degli altri senza che influiscano troppo sul nostro umore. Più difficile a dirsi che a farsi, eh?
Magari può aiutare lasciarsi ispirare da altro… qualche settimana fa, ad esempio, mia madre mi ha portato una pianta di Alocasia (più famosa come orecchie da elefante). Mio zio ne aveva fatta una talea tempo prima partendo dalla sua e lei se ne è presa cura facendola crescere forte, prima di regalarla a me, consegnandola quindi ad un futuro piuttosto incerto.
La sola idea di mandare in fumo tutti i loro sforzi mi rendeva triste, così, non appena una delle grandi foglie ha iniziato ad ingiallire, mi sono allarmata ed ho chiesto consiglio. Mi hanno quindi spiegato che quella pianta può sostenere contemporaneamente 4/5 foglie, quindi con l’apertura di una nuova, quella più grande inizia a morire, quasi a volerle fare spazio.
La pianta conosce il suo stato di equilibrio e benessere e cerca di mantenerlo, lasciando andare ciò che non serve più, per aprirsi al nuovo. Mi ha ricordato un po’ le filosofie del decluttering[2] e dell’ecominimalismo[3]: eliminare gli oggetti di cui non abbiamo realmente bisogno, evitare di acquistarne di nuovi prima di esserci chiesti se possiamo farne a meno o se è possibile riparare i vecchi, impiegare un oggetto per più utilizzi…
Queste pratiche, seppur con metodi diversi, fanno certamente bene all’ambiente perché vanno in direzione opposta a quella consumistica, ma fanno bene anche a noi. Ad esempio quando riordiniamo un cassetto o liberiamo lo svuotatasche: riduciamo il numero degli oggetti, puliamo i ripiani da ciò che non è necessario, con il risultato di uno spazio meno caotico, più ordinato, che libera anche la nostra mente e ci permette di concentrarci su pochi elementi, su ciò che è veramente tangibile e risolvibile in un momento preciso, sul presente insomma.
Vista così, la psicoterapia e alcune pratiche ambientaliste hanno molte cose in comune. Per alcuni aspetti, perseguire il benessere personale può significare favorire anche quello del pianeta; e questo mi dà speranza.
Qualche giorno fa, finalmente, mi sono decisa ad eliminare le foglia ingiallita. Stamattina, mentre bevevo il caffè, ho avuto il piacere di dare il benvenuto a quella nuova che si sta aprendo.
[1] “Nell’ambito della psicoterapia della Gestalt, il qui-e-ora costituisce la dimensione spazio-temporale attraverso cui la persona psicologicamente sana si pone in contatto con sé stessa e con il mondo” https://www.gestalt.it/la-gestalt-in-pillole-il-qui-e-ora/.
[2] Marie Kondo, consulente giapponese di organizzazione domestica ha elaborato una metodologia per la riorganizzazione degli spazi domestici che ha denominato “Metodo KonMari”, finalizzata non solo a rendere più funzionale la vita quotidiana, ma anche ad agevolare introspezione e conoscenza interiore.
[3] Elisa Nicoli, divulgatrice sui temi della sostenibilità e dell’ambiente, propone il suo punto di vista per passare dall’impulso compulsivo all’acquisto alla ricerca dell’ecominimalismo, una filosofia e pratica di vita che ci libera del superfluo. Per approfondire: Ecominimalismo. L’arte perduta dell’essenziale. Perché consumare meno e meglio può salvare noi e il pianeta, Gribaudo, 2023.