Fuga dalla città. Gli ecovillaggi tra post pandemia ed economia dell’emergenze
di Antonia Di Lauro
«Il fenomeno comunitario, in questi ultimi anni, sta conoscendo una prudente fioritura, agevolato dal fatto che le grandi città sono progressivamente meno vivibili, le condizioni economiche della maggior parte delle persone meno floride ( vivere insieme “costa meno”), le alternative offerte da una militanza politica meno allettanti. Per alcuni vivere in una dimensione comunitaria ed avere garantiti i prodotti dell’orto e degli animali e la legna dai boschi, in un’ottica di semplice sussistenza che abbini una ritrovata libertà da “bisogni indotti” all’astensione dall’inquinare, è già un buon investimento… Altri chiedono di più: una qualità della vita difficile da ritrovare nel mondo ordinario, nella cauta accettazione di quanto di buono i soldi e la tecnologia possano offrire …»
Così Manuel Olivares, sociologo, scrive già nel 2018 alla prefazione al libro “Comunità intenzionali, ecovillaggi e co-housing”, evidenziando un fenomeno che, soprattutto negli ultimi anni, ha avuto una grande accelerata.
In virtù dell’aumento di interesse per queste realtà nasce la rubrica “Ecovillaggi”, a partire da alcune riflessioni connesse all’emergenza pandemica e al periodo storico che l’Italia sta attraversando.
Ho scelto di aprire la rubrica con tali argomentazioni, nell’intenzione di inquadrare, entro una cornice di riferimento, notizie, pratiche e progetti che periodicamente saranno illustrati.
La diffusione della pandemia ha segnato, e continua a segnare, le nostre vite, nonostante oggi si riesca meglio a fare i conti con una realtà che, due anni fa, ci ha colti impreparati.
Se allora si auspicava un ritorno alla normalità, qualcuno aveva già intuito che così non sarebbe stato. Emerge oggi, con maggiore evidenza, che il virus ha tracciato un solco profondo tra un prima e un dopo e che, come nella naturale evoluzione di tutte le cose, indietro non si torna.
Ripensando a stili e ritmi di vita pre-pandemici ho messo in dubbio la normalità delle nostre “vite di corsa” (Z. Bauman, 2007), consumate individualmente tra la routine del lavoro, i social, le serie tv e lo shopping.
Continua a sorprendermi l’idea che possa essere considerata normale una vita dominata da Internet (S. Zuboff, 2019), governata dal sentimento di paura, organizzata attorno ad una società dei consumi che legittima la distribuzione iniqua di una ricchezza detenuta nelle mani di pochi, animati da principi di finanza e potere piuttosto che di giustizia, solidarietà.
Nel periodo di isolamento sociale, mentre la natura si è risvegliata, approfittando dell’immobilismo in cui versava il genere umano, qualcosa si è destato in me, come in quanti sono maggiormente diventati consapevoli che, a ben guardare, quella normalità richiede un’urgente inversione di rotta.
In contrapposizione al declino di governi incapaci di frenare i problemi globali e di una democrazia messa in discussione dalla narrazione unilaterale dei fatti (G. Bianchi, 2022), da più parti sono emerse forze dal basso che stanno gettando le basi di nuovi modelli socio-economici e culturali, per provare a contrastare le dinamiche in atto, che sempre più gravano sui cittadini e sul Pianeta.
A partire da una condizione forzata che ci ha fatto riscoprire il valore dell’orto, della casa in campagna, del parco, si è consolidata l’idea che la salute del Pianeta è anche la nostra, che il nostro benessere è connesso ad una ritrovata armonia con la gente e la natura.
Non a caso, come numerosi articoli riportano sulla Rete, a partire dal 2020 cresce la percentuale di individui e gruppi interessati all’acquisto di terreni e casolari, così come alle visite ad ecovillaggi e borghi abbandonati. Se fino a qualche anno fa era sufficiente vivere accanto ad un parco, trascorrere un weekend all’aria aperta o coltivare gli orti sociali, oggi questo non basta più.
Sebbene il fenomeno sia già in atto da decenni, il Covid ha accelerato decisamente i tempi, convincendo un numero più ampio di persone ad una “fuga dalla città”.
D’altra parte, l’isolamento sociale e la chiusura delle attività lavorative hanno generato, paradossalmente, il consolidamento e la nascita di reti di cittadini a sostegno di microeconomie, autoproduzione, autonomia energetica (R. Troisi, 2020) svincolate, talvolta, dalle politiche istituzionali, per risolvere in autonomia la crisi con la forza della collaborazione.
Abbiamo, in tal senso, ritrovato l’importanza di stare assieme, per supportarci e collaborare, abbandonando l’idea di società, per alimentare la nostra “voglia di comunità” (Bauman, 2000).
Così, credo che la pandemia abbia contribuito ad accelerare il necessario ripensamento dei nostri stili di vita, delineando nuovi orizzonti di senso.
Nella ricerca di una migliore qualità della vita, molti cittadini si sono orientati verso un’idea di benessere lontana dai “socioritmi”, dalla metropoli e dal web, più vicina ai ritmi lenti della vita, alla campagna, ai contatti umani autentici e diretti.
Tale tendenza ad oggi prosegue per la necessità di contrastare un contesto nazionale minacciato dai principi di un’ “economia dell’emergenze” (D. Rossi, 2022) che si palesa con il caro bollette, una possibile esplosione nucleare e uno scenario di conflitto globale.
In questo panorama, alla ricerca di un’alternativa, ho trovato ispirazione in ciò che sosteneva l’architetto Richard Buckminster Fuller “Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, costruisci un modello nuovo che renda la realtà obsoleta”.
Così ho sentito la necessità di guardare altrove, a realtà storiche e concrete (benché definite utopiche) capaci di immaginare il cambiamento al di fuori di schemi istituzionali e logiche di sistema. Se, infatti, diverse iniziative, avviate con la pandemia, si sono rivelate temporanee, di difficile attuazione, fallimentari nel lungo termine, perché appunto dettate dall’emergenza e soggette alle stesse logiche che hanno provato a contrastare; gli ecovillaggi appaiono come un universo inesplorato di possibilità, in quanto completamente separati (nel bene e nel male) dalle dinamiche che interessano l’ambiente urbano.
La rubrica si propone con ciò di esplorare queste realtà e condividere pratiche, iniziative e progetti utili a fornire spunti e suggerimenti per modalità diverse e consapevoli di abitare, dentro e fuori le nostre città.
Da qui comincia il viaggio negli ecovillaggi: laboratori di comunità intenzionali dove piccole utopie contemporanee si oppongono ad una distopia globale, talvolta non troppo lontana dalla realtà.